
Il futuro dell’automotive europeo dipende da scelte strategiche su commercio, transizione ecologica e tutela del valore industriale. L’allarme di CLEPA
I dazi USA sono una bomba ad orologeria per l’economia e la stabilità dei rapporti internazionali: persino Elon Musk auspica che il suo presidente Donald Trump faccia un passo indietro dopo l’ecatombe in borsa. Il problema non riguarda solo i Costruttori delle auto prodotte all’estero e importate negli USA, ma anche tutta la supply chain di cui abbiamo parlato qui. In realtà a farne le spese sono soprattutto i produttori di componentistica automotive. Nonostante un saldo negativo, l’industria automotive italiana ma messo a bilancio numeri positivi nel 2024 proprio grazie all’export di autoveicoli, parti e accessori. Ma gran parte di queste esportazioni potrebbero essere ridimensionate. A lanciare l’allarme è CLEPA – l’associazione europea dei fornitori automobilistici – che, durante il recente Dialogo Strategico sul futuro dell’industria automobilistica, ha richiamato l’attenzione delle istituzioni europee sulle gravi ripercussioni delle politiche commerciali statunitensi sul settore automotive nell’UE.
L’EXPORT DEL MADE IN ITALY AUTOMOTIVE
Secondo i dati di fine 2024 pubblicati da ANFIA (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica) il valore dell’export di autoveicoli (autovetture e veicoli industriali nuovi) è stato pari a 13,6 miliardi di euro, con gli USA come primo mercato di destinazione (18,7%), seguiti da Germania (15,2%) e Francia (11,5%). Mentre l’export della componentistica automotive italiana ammonta a 18,7 miliardi di euro, generando un saldo positivo di 5,1 miliardi di euro nel periodo di riferimento. Questo solo nel perimetro del Made in Italy.
In un confronto con la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, esponenti di primo piano del comparto – tra cui Bosch e Valeo – hanno ribadito l’urgenza di un rinnovato equilibrio nelle relazioni transatlantiche. Ad oggi i dazi imposti dagli Stati Uniti lontani dall’ipotesi di essere revocati, rappresentano una minaccia concreta alla stabilità dell’intero ecosistema industriale europeo.
CLEPA STIMA PERDITE PER 14 MILIARDI DI EURO E 125 MILA POSTI DI LAVORO
Secondo Benjamin Krieger, Segretario Generale di CLEPA, l’impatto che avranno i dazi USA è tutt’altro che marginale: sono a rischio 13,9 miliardi di euro di esportazioni europee verso gli USA e, cosa ancor più preoccupante, fino a 125.000 posti di lavoro in Europa. Ma il colpo più duro non è riservato ai grandi nomi dell’automotive: a soffrire maggiormente sono i fornitori di componenti, spesso PMI, che costituiscono l’ossatura della filiera.
LA REAZIONE AUSPICATA DALL’EUROPA: EVITARE UNA CATASTROFE
CLEPA, pur sostenendo in un comunicato stampa un approccio moderato da parte dell’Unione Europea, sollecita una soluzione negoziata e tempestiva con gli USA, al fine di evitare una spirale di ritorsioni commerciali (che invece sembrano essere a una fase irreversibile per la Cina dopo gli scambi di opinioni tutt’altro che diplomatici con il vice presidente USA). Un epilogo simile, secondo CLEPA – finirebbe per colpire anche importazioni strategiche come materie plastiche speciali, semiconduttori e acciai di alta qualità – risorse critiche difficilmente rimpiazzabili a breve termine.
Secondo Krieger, è tempo che l’Europa rafforzi la propria autonomia strategica. Ciò significa agire con intelligenza sul fronte interno, sostenendo tecnologie a basse emissioni che rappresentano un’opportunità concreta per salvaguardare occupazione e valore aggiunto sul territorio europeo. A ciò si aggiunge la richiesta di una revisione realistica della normativa sulle emissioni di CO₂, capace di riflettere le dinamiche effettive del mercato, e una forte spinta verso la semplificazione burocratica attraverso l’iniziativa “Simplification Omnibus”, volta a rendere più snello e competitivo l’ambiente regolatorio europeo.
Infine, CLEPA indica la necessità di concludere rapidamente accordi commerciali chiave con regioni strategiche come Mercosur e Messico, al fine di diversificare i mercati e ridurre la dipendenza da rapporti bilaterali sempre più instabili. “Non si tratta di una deriva protezionistica, ma di salvaguardare la resilienza nel lungo periodo.”