FCA deve far fronte ai guai in Italia con il Fisco: l’accusa di aver sottostimato il valore della Chrysler può costare 1,5 miliardi di multa
FCA dovrà fronteggiare nuovi guai, stavolta in Italia, per tasse che non avrebbe pagato al Fisco per 1,5 miliardi di dollari. L’ultima batosta è una conseguenza diretta della delocalizzazione delle sedi legali FCA all’estero e della valutazione sottostimata della Chrysler. Ecco perché e quanto dovrebbe pagare FCA in tasse arretrate all’Agenzia delle Entrate.
FIAT SPA DIVENTA FCA E AUMENTA IL SUO VALORE
Il Fisco italiano ha bussato alla porta di FCA che dopo aver salvato Chrysler dalla bancarotta è stata raggiunta da un avviso di pagamento per 1,5 miliardi di dollari (circa 1,3 miliardi di euro). La seconda batosta dopo le accuse di corruzione di General Motors, che non hanno spaventato PSA dalla fusione annunciata. I guai italiani di Fiat-Chrysler con il fisco – come ha riportato Bloomberg, sarebbero nati nel 2014 con la finalizzazione dell’assorbimento di Chrysler e dei marchi Jeep, Dodge e RAM.
LE STIME SUL VALORE DI FCA SECONDO IL FISCO
Nel 2014 esordì in borsa Fiat Chrysler Automobiles quotandosi per un valore di 8 miliardi di euro. Ma secondo quanto sarebbe emerso, la stime di FCA sul valore di Chrysler (all’epoca 7,5 miliardi di euro) era sotto di 5 miliardi di euro rispetto a quella che avrebbe valutato l’Agenzia delle Entrate. Il passaggio da Fiat Spa a Fiat-Chrysler Automobiles si è ultimato con il trasferimento dalla sede legale in Olanda e la sede fiscale in Gran Bretagna.
LE TASSE NON PAGATE DA FCA
Ed è su questi elementi che si fonda il rapporto dell’Agenzia delle Entrate su FCA: le tasse che il Fisco chiede ad FCA si riferiscono all’applicazione della Exit-Tax. In pratica si tratta dell’aliquota relativa alla variazione positiva del valore di cui beneficia l’azienda dal trasferimento. Nel caso di FCA, secondo i calcoli dell’Agenzia delle Entrate si tratta di 1,3 miliardi di euro non versati. Una multa che FCA respinge confidando in una revisione (probabile) degli importi e dichiarando che “qualsivoglia plusvalenza tassabile che fosse accertata sarebbe compensata da perdite pregresse, senza alcun significativo esborso di liquidità”.