Uno studio dell’Università di Harvard, afferma che il numero di vittime premature da combustibili fossili è il doppio di quanto di crede
I combustibili fossili sono responsabili di 1 morte prematura su 5, più di quanto imputato prima dello studio globale che relaziona l’inquinamento da combustibili tradizionali e salute pubblica. I risultati mettono Cina, India, Europa e nord America in testa alle aree geografiche più colpite.
COMBUSTIBILI FOSSILI E MORTI PREMATURE: LO STUDIO INTERDISCIPLINARE
Lo studio su pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Research, afferma che nelle aree con un maggiore impatto dei combustibili fossili le vittime premature da inquinamento sono 8,7 milioni l’anno. Sul banco degli imputati l’impatto sulla salute della combustione di carbone, petrolio e gas naturale. Proprio il metano – quello emesso nell’ambiente dai veicoli convertiti – potrebbe vedere un nuovo limite con le norme di omologazione Euro 7 dal 2025. La ricerca è stata condotta dell’Università di Harvard, in collaborazione con l’Università di Birmingham, l’Università di Leicester e l’University College di Londra. Secondo i ricercatori, l’esposizione al particolato derivante dalle emissioni di combustibili fossili ha provocato quasi 1 morte prematura su 5 nel 2018.
I RICERCATORI: STIME FALSATE DALLA MAPPATURA GPS
La scoperta preoccupante è che il rapporto mostra un trend in crescita del fenomeno, rispetto ai dati registrati da una precedente ricerca. Il più recente e ampio studio sulle cause della mortalità globale Global Burden of Disease Study, avrebbe valutato il numero totale di decessi da particolato aerodisperso (inclusi polvere e fumo) a 4,2 milioni di persone. Il problema – spiegano i ricercatori – è nel limite delle osservazioni satellitari. “Le osservazioni satellitari e di superficie non sono in grado di distinguere tra le particelle delle emissioni di combustibili fossili e quelle della polvere, del fumo di incendi o di altre fonti” spiega la ricercatrice Loretta J. Mickley “Con i dati satellitari, vedi solo i pezzi del puzzle”.
EMISSIONI DA COMBUSTIBILI FOSSILI: SOLO I BLOCCHI NON SERVONO
Per disegnare una mappa più dettagliata delle emissioni di PM 2.5 generate dalla combustione di combustibili fossili, i ricercatori hanno considerato le emissioni di più settori, tra cui energia, industria, navi, aerei e trasporti terrestri. “Piuttosto che fare affidamento su medie diffuse in grandi regioni, volevamo mappare dove si trova l’inquinamento e dove vivono le persone”, Karn Vohra autore dello studio. Non sempre le politiche green riescono ad arginare fenomeni di grande portata – secondo i ricercatori. “I tassi di emissioni sono dinamici, aumentano con lo sviluppo industriale o diminuiscono con politiche di qualità dell’aria”, spiega Eloise Marais. “Tuttavia i cambiamenti della qualità dell’aria in Cina dal 2012 al 2018 sono i più drammatici, perché la popolazione e l’inquinamento atmosferico sono entrambi grandi”. Questo spiegherebbe anche l’effetto del lockdown da Coronavirus in Cina sulle emissioni ambientali ridotte dallo stop di tutte le attività.