
Una riflessione sugli incidenti stradali, tra corretta informazione e racconto di cronaca: i doveri di chi comunica
Le parole nel racconto di cronaca molto spesso aggiungono dolore al dolore. Consapevolmente o meno portano le vittime a morire due volte. Proprio in occasione dell’ultimo femminicidio, un’importante testata giornalistica twitta, e poi repentinamente cancella, “al paese serve un’opera di educazione profonda: dobbiamo insegnare alle ragazze a salvarsi”. Questa volta, lo stridore del titolo è così forte da far scalpore. Ma quante volte per ottenere visibilità, click, la vittima viene uccisa due volte? Tante. Soprattutto in caso di cronaca di incidenti stradali o di omicidio, le tendenze sono quelle di colpevolizzare in un qualche modo la vittima o deresponsabilizzare il vero colpevole. O ancora spettacolarizzare il dolore usando termini da pulp fiction, non mostrando rispetto nei confronti delle vittime e dei loro familiari.
IL LINGUAGGIO CREA PERCEZIONI: COME CI INFLUENZA IL RACCONTO DI CRONACA
Bandura già nel 1990 ha individuato otto meccanismi alla base della distorsione tramite cui si può venire a creare una discrepanza tra pensiero e condotta morale:
- Giustificazione morale: la condotta nociva viene trasformata e resa personalmente e socialmente accettabile ponendola al servizio di scopi socialmente validi e morali;
- Etichettamento eufemistico: utilizzato per rendere rispettabili le azioni dannose o per ridurre la responsabilità nei loro confronti;
- Confronto vantaggioso: in questo modo un atto riprovevole può essere reso virtuoso, avendo come base la giustificazione morale;
- Dislocamento della responsabilità: viene minimizzato il proprio ruolo attivo rispetto ai danni che vengono provocati;
- Diffusione della responsabilità: quando tutti sono responsabili nessuno si sente responsabile;
- Distorsione delle conseguenze: gli effetti dell’azione dannosa non si prendono in considerazione o si minimizzano;
- Deumanizzazione della vittima: la percezione dell’altro come simile scatena reazioni emotive empatiche. La deumanizzazione è caratterizzata dal non riconoscimento della qualità di essere umano;
- Attribuzione di colpa: ribalta la responsabilità dell’offesa sul destinatario di essa.
SINISTRI STRADALI: QUANDO UNA SCELTA NON SI PUÒ CHIAMARE “INCIDENTE”
Ciò rende ammissibile che, nella stampa, l’adozione degli otto meccanismi sia più ricorrente con reati meno connessi all’esperienza quotidiana dei lettori, ossia nelle notizie su crimini che sembrano suggerire ripercussioni sociali più circoscritte. Le parole della stampa entrano pian piano a far parte del senso comune. Come quando parliamo di “incidente stradale”. Secondo la definizione della Treccani, incidente è “un avvenimento inatteso, imprevisto, per lo più con effetti dannosi, che interrompe il corso regolare di un’azione”. Se utilizzi il cellulare alla guida, superi i limiti di velocità, se guidi dopo aver bevuto o esserti drogato, e sono solo alcuni esempi, l’evento che ne può conseguire non è certo “inatteso” per la statistica. Forse lo è nella testa di chi lo compie, ma non lo è sicuramente per il calcolo delle probabilità! Gli incidenti stradali non capitano per caso, non sono legati al destino, gli incidenti capitano perché c’è sempre qualcuno che non rispetta una regola che andava rispettata, che compie una scelta. La campagna ministeriale “Sulla buona strada” del 2016 aveva fatto chiarezza sulla distorsione di questo termine. Ma poi qualcosa è andato storto, per lo meno nel ricordo delle persone.
INCIDENTI STRADALI: LE PAROLE CHE CI CONDIZIONANO
Le parole sono fondamentali per relazionarci nel mondo, ma hanno un peso che va considerato. Soprattutto tra i giornalisti, professionisti della parola che facendo un servizio pubblico dovrebbero avere necessariamente la capacità di essere chiari nel dare resoconti alla popolazione con cautela. Allo stesso tempo serve che gli operatori che si trovano i rilevare il sinistro si preparino alla comunicazione di bad news nei confronti dei parenti. L’incidente stradale o lo scontro stradale per i familiari è un’esperienza terribile e terrificante per chi resta. È fondamentale quindi che la prima notizia arrivi da fonti ufficiali, non dai media o da un messaggio di un conoscente su Whatsapp. È necessario poi che nelle descrizioni del fatto, nel diritto e dovere di cronaca, il giornalista tenga conto che non si parla di oggetti estemporanei ma di esseri umani che hanno legami, una storia e una reputazione che devono essere tutelati. Con le nostre parole abbiamo deresponsabilizzato questa società rispetto l’evento morte della vittima che aveva diritto di vivere, abbiamo spostato l’attenzione da quella che è la responsabilità dell’essere umano. Dobbiamo riappropriarci della nostra responsabilità di comunicatori, per il bene di tutti, distinguendo la fiction da un racconto di cronaca.
Contributo a cura di Marianna Martini – Psicologa del traffico