
Autovelox non omologati: il decreto che doveva risolvere la questione è un flop, il MIT lo sospende e torna l'incubo ricorsi
È durata poco la soddisfazione di aver finalmente trovato la chiave per risolvere la spinosa vicenda dell’omologazione degli autovelox, esplosa quasi un anno fa con la dirompente sentenza n. 10505/2024 della Corte di Cassazione. Lo strombazzatissimo decreto del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che avrebbe dovuto mettere fine alle polemiche e ai ricorsi, in fase di trasmissione a Bruxelles, è stato sospeso dallo stesso MIT perché necessita di ‘ulteriori approfondimenti’. C’era infatti il serio rischio che questo decreto non avrebbe risolto nulla, trattandosi di un provvedimento di rango inferiore rispetto alla norma primaria.
AUTOVELOX OMOLOGATI E APPROVATI: LA STORICA SENTENZA DELLA CASSAZIONE
Facciamo un passo indietro per ricordare i passaggi principali della vicenda. L’appena citata sentenza della Cassazione, negando l’equivalenza tra le procedure di approvazione e di omologazione degli autovelox, ritenendole nel contempo entrambe indispensabili, ha di fatto messo ‘fuori legge’ le apparecchiature per il controllo a distanza della velocità in Italia, visto che tutte risultano solo approvate e non omologate, aprendo la strada a una valanga di ricorsi da parte degli automobilisti multati. Il terremoto legislativo non è stato sanato né dal cosiddetto decreto Autovelox e né dalla recente riforma del Codice della Strada,
In effetti, ha fatto notare la Suprema Corte, l’articolo 45 comma 6 del Codice della Strada distingue nettamente i due termini ‘omologazione’ e ‘approvazione’, ritenendoli differenti sul piano formale e sostanziale, “giacché intende riferirsi a tutti i mezzi tecnici atti all’accertamento e al rilevamento automatico delle violazioni“: alcuni destinati a essere necessariamente omologati (quali, per l’appunto, i dispositivi demandati specificamente al controllo della velocità, del resto pure l’art. 142 comma 6 CdS utilizza l’espressione ‘debitamente omologati‘ riferendosi ai mezzi per il rilevamento elettronico). E altri per i quali è sufficiente la semplice approvazione (che da sola però non basta a far considerare legittimo l’accertamento della velocità veicolare a mezzo autovelox).
UN DECRETO DEL MIT PER RISOLVERE IL PROBLEMA DELL’OMOLOGAZIONE
Al fine di metterci una pezza, il 25 novembre scorso il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha promosso un tavolo tecnico con la partecipazione del ministero dell’Interno, del MIMIT e dell’ANCI per “rinvenire soluzioni volte a garantire che gli autovelox siano utilizzati esclusivamente in chiave di prevenzione e deterrenza all’interno di un quadro normativo certo e con un sistema sanzionatorio adeguato“.
Dopo alcuni mesi, esattamente lo scorso 11 febbraio, il tavolo tecnico ha concluso i lavori predisponendo uno schema di decreto composto da sette articoli e da un lungo allegato tecnico contenente le caratteristiche, i requisiti e le procedure di omologazione, taratura e verifica di funzionalità dei dispositivi e sistemi per l’accertamento delle violazioni dei limiti massimi di velocità ai sensi del già citato art. 142 del Codice della Strada.
L’aspetto più importante di questo decreto riguarda l’articolo relativo alle disposizioni transitorie, quando si indica che “i dispositivi o sistemi approvati secondo quanto previsto dal decreto MIT n. 282 del 2017, essendo conformi alle disposizioni dell’allegato tecnico, sono da ritenersi omologati d’ufficio“. Tutti gli altri devono invece seguire una procedura tassativa che prevede la disattivazione fino al completamento della stessa, affinché il titolare dell’approvazione di un dispositivo o sistema autovelox approvato prima dell’entrata in vigore del decreto n. 282/2017 possa richiedere l’omologazione integrando la documentazione richiesta entro il termine di sei mesi. Attualmente, secondo l’ASAPS (Associazione sostenitori e amici della Polizia stradale) sarebbero solamente 12 i sistemi omologabili d’ufficio.
IMPROVVISO DIETROFRONT: SOSPESO IL DECRETO SUGLI AUTOVELOX OMOLOGATI
La soluzione sembrava dunque trovata: tutti gli autovelox e dispositivi simili approvati dopo l’entrata in vigore del decreto MIT del 2017 sarebbero risultati omologati d’ufficio, quelli approvati precedentemente avrebbero potuto ottenere l’omologazione al termine di una procedura atta ad assicurare gli stessi livelli di affidabilità e precisione degli apparecchi, restando però nel frattempo spenti.
Tuttavia, con lo schema di decreto in fase di invio all’Unione Europea, dove sarebbe rimasto in consultazione fino al prossimo 24 giugno con la prospettiva di diventare operativo a luglio, è arrivato improvviso il dietrofront del MIT che ha sospeso il decreto su indicazione diretta del ministro Salvini perché sul testo “sono necessari ulteriori approfondimenti“. Cos’è successo? Due, probabilmente, le ragioni dello stop:
- in primis, la questione della gerarchia delle fonti. Sono stati infatti avanzati dubbi da più parti, anche da esperti del settore, perché la modifica della norma primaria, in questo caso il Codice della Strada, che è una legge, non può avvenire con un provvedimento di rango inferiore, come un decreto che è un atto amministrativo;
- c’è poi una questione di opportunità: come detto, gli strumenti per rilevare la velocità approvati dopo il decreto del 2017, che in base alle nuove disposizioni sarebbero risultati omologati d’ufficio, sono solo una dozzina su circa 90 in dotazione. Questo avrebbe comportato lo spegnimento della stragrande maggioranza degli apparecchi, compresi i Tutor 1.0 e 2.0 che ‘vigilano’ su gran parte delle autostrade italiane, in attesa di adeguarli come richiesto dal nuovo decreto. E ciò sarebbe avvenuto probabilmente nel bel mezzo dell’estate 2025, mettendo a serio rischio la sicurezza stradale proprio quando il traffico aumenta esponenzialmente.
E adesso come si risolve la questione degli autovelox non omologati? Non lo sa nessuno con certezza e probabilmente, peggio ancora, non lo sanno neppure al ministero…