L'AD FCA Marchionne si è espresso positivamente sull'elezione del presidente USA e fa il punto sui possibili risvolti per l'industria auto americana
Le industrie potrebbero avere qualche difficoltà nel capire lo scenario nel quale si troveranno dopo le elezioni che hanno visto Donald Trump diventare il quarantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti d'America. Trump è un capitalista che ha cavalcato il fenomeno della globalizzazione e vede di buon occhio la riduzione delle tasse, dell'intervento statale e un allentamento della salvaguardia ambientale (leggi come i Costruttori bussano a Trump per le norme sulle emissioni). Nonostante queste premesse, nel suo programma ci sono anche dazi sulle importazioni, che potrebbero alzare i prezzi negli USA, e la messa in dubbio degli importanti accordi NAFTA con Canada e Messico. È per questo che Sergio Marchionne, pur apprezzando Trump, appare preoccupato per le sue inclinazioni protezionistiche (anche i costruttori tedeschi tremano per le idee di Trump).
SCAMBIO NON PIÙ LIBERO? Secondo quanto raccolto da Bloomberg TV e riportato da Autonews, le posizioni critiche verso il libero scambio espresse da Trump potrebbero influenzare gli affari di Fiat Chrysler Automobiles in Nord America: è questo il parere dell'amministratore delegato della casa automobilistica Sergio Marchionne. L'elezione di Trump “è stata certamente un punto di svolta, soprattutto perché penso che ci sono una serie di 'condizioni' negli Stati Uniti che non sono state ancora enunciate”, ha detto Marchionne durante una visita allo stabilimento di Cassino (l'evento è stato lo stesso nel quale Altavilla ha dichiarato che l'Alfa Stevio porterà altri 1800 dipendenti nell'impianto di Cassino).
35% DI TIMORI IN PIÙ L'AD di FCA ha precisato meglio, dichiarando che le dichiarazioni di Trump relative agli scambi commerciali fissati dagli accordi NAFTA (leggi come l'Europa e l'area NAFTA sono quelle che sono cresciute di più) sono “un grande problema” a causa dell'influenza che il North American Free Trade Agreement ha sulle operazioni di FCA in Messico, Stati Uniti e Canada. Trump ha spesso tuonato contro il Nafta durante la sua campagna, descrivendolo come il peggior accordo mai fatto e incolpandolo per le perdite di posti di lavoro degli Stati Uniti. Il nuovo Presidente ha stigmatizzato Ford per i suoi stabilimenti in Messico e ha parlato di un dazio del 35% per le aziende americane che portano la loro produzione all'estero. Ben 9 Case hanno stabilimenti in Messico: dal 2010 ad oggi questi Costruttori, tra i quali General Motors, Ford e FCA, hanno effettuato più di 24 miliardi in investimenti in Messico.
LE DUE FACCE L'inquietudine di Marchionne è comprensibile: FCA, che genera la maggior parte dei suoi profitti in Nord America, ha assemblato in Messico circa il 17% di tutti i veicoli che ha costruito in quell'area: a dirlo è Kevin Tynan, Industry senior analyst di Bloomberg, che aggiunge: “quasi tutte queste vetture sono state vendute negli Stati Uniti e in Canada e quindi l'azienda incorrerebbe in pesanti costi se l'amministrazione Trump mettesse una tassa del 35% sulle importazioni veicoli e loro componenti negli Stati Uniti”. Marchionne aveva lanciato un allarme già nello scorso giugno: una vittoria di Trump poteva avere un certo impatto sulle opzioni di produzione della Casa nel Nord America, con effetti variabili a seconda del modo in cui avrebbe gestito il trattato NAFTA. Le montagne russe sono continuate quando Trump ha nominato a capo del transition team dell'EPA uno scettico riguardo il cambiamento del clima: le azioni di FCA sono salite parecchio perché la Casa è indietro sul fronte dei veicoli ibridi ed elettrici. Ricordiamo, per finire, che Clinton ha firmato l'accordo NAFTA l'8 dicembre 1993 ma la prima versione era stata siglata dal suo predecessore George W. Bush nel dicembre del 1992. Un'altra curiosità riguardo quel trattato: fra il 1997 e il 2013 gli USA hanno perso circa 800.000 posti di lavoro, che sono confluiti in Messico. La Camera di Commercio USA ha stimato però che nello stesso periodo sono 6 milioni i posti di lavoro americani che dipendono dai rapporti commerciali con il Messico.