Omicidio Stradale: con i tribunali fermi scatta la giustizia fai da te
I tempi lunghi della Giustizia e la sempre più rarefatta certezza della pena tra le cause della tragedia di Vasto, quanto poteva essere evitata?
Sulle pagine di tutti i quotidiani nazionali, così come sulle bacheche dei social network, si parla quasi esclusivamente dei fatti di cronaca di Vasto e dell'epilogo tragico della storia. Due giovani vite spezzate e un'altra segnata irrimediabilmente, sono il risultato di una vicenda sulla quale in queste ore si stanno sprecando fiumi d'inchiostro e parole. Non vogliamo entrare nel merito delle dinamiche della tragedia di Vasto, così come non ci sentiamo di esprimere giudizi sulle azioni dei singoli attori di questa triste storia; l'aspetto che vogliamo invece approfondire è quello della normativa in riferimento al reato di omicidio stradale, della sua applicazione e dei tempi della Giustizia italiana per giungere a un verdetto definitivo.
UNA TRIPLICE TRAGEDIA NATA DA UNA LEGGEREZZA AL VOLANTE Per rendere comprensibile a tutti la lettura dell'articolo proviamo a riassumere cosa è in realtà successo a Vasto e da dove l'intera vicenda è originata. La scorsa estate a seguito di un incidente tra una Fiat Punto e uno scooter ha perso la vita la trentaquattrenne Roberta Smargiassi, alla guida del motorino. Il ventiduenne Italo D'Elisa, alla guida della vettura, sarebbe passato con il rosso al semaforo, causando l'incidente mortale. Indagato per omicidio stradale D'elisa è rimasto a piede libero, in attesa che la macchina della Giustizia italiana si mettesse in moto dopo la chiusura delle indagini (Leggi qui perché i Comuni italiani temono i risvolti penali della nuova legge sull'omicidio stradale). Due giorni fa il marito di Roberta, Fabio di Lello non ha retto alla pressione, non ha più sopportato di vedere in libertà chi ha spezzato la vita di sua moglie e ha deciso di farsi giustizia da solo, uccidendo, Italo D'Elisa.
LO SPETTRO DELLE IMPUNITA' HA ACCESO LA FOLLIA? Una Giustizia lenta è un'ingiustizia, questa è stata la dichiarazione dell'arcivescovo Bruno Forte dell'arcidiocesi di Vasto-Chieti. Secondo il prelato la lentezza della Giustizia italiana è in parte responsabile di questa tragedia, ai cronisti del Fatto Quotidiano ha infatti riferito: “la tragedia poteva essere evitata con un intervento rapido della Giustizia e una punizione esemplare. La Magistratura deve fare il suo corso ma nel modo più rapido possibile”. Le indagini sul caso sono state chiuse soltanto lo scorso novembre e, secondo il legale di D'Elisa il giovane sarebbe dovuto comparire il prossimo 21 febbraio davanti al GUP per l'udienza preliminare, nel corso della quale sarebbe stato deciso l'eventuale rinvio a giudizio. Passi lenti che non hanno fatto altro che esacerbare l'odio al punto da commettere un gesto, forse comprensibile, ma ad ogni modo non giustificabile (Leggi qui come con l nuova legge un incidente banale può far scattare un procedimento penale).
CERTEZZA DELLA PENA E VERDETTI IN TEMPI RAPIDI, QUANDO LI AVREMO? Il reato di omicidio stradale, introdotto lo scorso marzo, prevede pene da 2 a 7 anni se l'incidente mortale è stato causato violando il codice stradale, in questo caso il passaggio con il semaforo rosso. Le pene previste divengono più pesanti se il conducente che ha commesso l'infrazione è positivo agli esami tossicologici o se ha causato l'incidente guidando in stato d'ebbrezza. (Sapevi che la nuova normativa prevede il ritiro della patente per 30 anni?) Italo D'Elisa, come riporta Repubblica, non è stato trovato né in stato alcolico né sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. Il clima in città si è fatto sempre più caldo, con manifestazioni pubbliche e numerosi striscioni per invocare giustizia. Quanto tempo è necessario per ricostruire la dinamica di un incidente, magari servendosi delle telecamere di sorveglianza ormai disseminate ad ogni angolo delle nostre strade? Sinceramente ci sentiamo sulla stessa lunghezza d'onda di Monsignor Forte, è mancato il conforto di un processo in tempi brevi e probabilmente lo spettro di una pena “non certa” a far catalizzare l'odio e quella che in definitiva è stata sete di vendetta.