La tragedia di Genova ci insegna che si può anche guidare con la massima sicurezza, ma non c'è nulla da fare quando le infrastrutture cadono a pezzi
Il ponte Morandi, all'anagrafe viadotto Polcevera, è crollato all'improvviso, “inaspettatamente” come ha dichiarato chi ne aveva (e ne ha ad oggi) in gestione il tratto dell'autostrada A10 che da Genova collega la rete stradale verso la Spagna e la Francia. Dopo la rincorsa di annunci ufficiali, botta e risposta tra Governo e vertici di Autostrade per l'Italia, fake news sulle cause del crollo e proclami di una ricostruzione lampo del ponte, in redazione ci siamo fermati a pensare con il direttore a cosa avrebbero potuto fare i poveri disgraziati che diretti al lavoro o verso le vacanze percorrevano il ponte Morandi prima del crollo: nulla. Noi che da sempre siamo convinti sostenitori della sicurezza stradale, stavolta non ci stiamo a leggere che la tragedia di Genova rischia di passare per una fatalità, una questione di insicurezza stradale. No, è un problema di sicurezza nazionale!
TRAGEDIA INASPETTATA, MA PER CHI ERA SUL PONTE E' assurdo pensare nel 2018, mentre si parla di VisionZero – il progetto di sicurezza stradale che vede impegnati Aziende e diversi Paesi europei nell'azzeramento di morti e feriti per incidenti stradali -, che chi esce di casa la mattina in auto e magari ha fatto di tutto per proteggere se stesso e la sua famiglia dai potenziali imprevisti stradali, corre il rischio di non tornare perché gli crolla in testa un ponte, “inaspettatamente”. Eppure in giro si legge con ridondanza nelle accuse che la procura ipotizza nei confronti di chi è, ed era, responsabile della sicurezza del ponte (e della sua manutenzione) l'aggettivo “colposo”, giusto per distinguere giuridicamente la non intenzione a provocare la più grande strage stradale italiana dopo l'autobus precipitato dal viadotto di Acqualonga perché il guardrail cedette all'impatto con il mezzo.
EPISODI SIMBOLO DI UN'ITALIA SURREALE Un ponte che collassa sui piloni che si sbriciolano come grissini, sconvolgendo la vita di decine di famiglie, non è una buca su cui rischi di cadere con lo scooter, farti male (o anche peggio) e il gestore della strada portato in tribunale riesce anche a sostenere in sua difesa che quella buca, più vecchia dei pini che costeggiano la strada, magari era segnalata con un cartello e il conducente avrebbe potuto andare piano o essere più prudente. Stavolta la sicurezza stradale (che normalmente è intesa anche come sicurezza delle infrastrutture), c'entra davvero poco, perché puoi anche aver seguito tutti i corsi di guida sicura del mondo, guidare al di sotto del limite di velocità, essere un conducente modello ma un ponte che crolla non lo puoi evitare. E mentre si da credito alle possibili cause più fantasiose, che parlano anche di un fantomatico fulmine che avrebbe spezzato in due il viadotto, in bilico c'è un business che il Governo vorrebbe sottrarre alle mani degli imprenditori cui fa capo il Gruppo che gestisce ASPI. Ipotesi al limite della realtà, sia quella del fulmine sia quella di revocare le concessioni al gestore (per quanto sarebbe sacrosanto, considerata la tragedia).
LA DIFFICILE REVOCA CHE IL GOVERNO ANNUNCIA Le responsabilità presunte dei gestori del tronco saranno accertate nelle sedi opportune ma intanto bisogna chiedersi se è opportuno puntare il dito sulla vetustà di un ponte che proprio per questo motivo andava forse monitorato in modo più efficace impegnando le migliori tecnologie in campo. Perché se ti crolla la terra sotto ai piedi mentre sei sul ponte di certo non puoi volare (e questo si che è inaspettato), ma magari usando i sensori che la stessa società starebbe sperimentando su altri ponti avrebbe aiutato a prevenire o limitare le conseguenze drammatiche del crollo. E poi davvero vogliamo credere che un fulmine possa aver indebolito la struttura del viadotto Polcevera (aperto nel 1967)? E se pure fosse, perché non c'era un sistema che ne avrebbe impedito il danneggiamento? Tante domande che troveranno risposta solo individuando le responsabilità di chi avrebbe dovuto monitorare, manutenere e garantire la sicurezza della viabilità, il “minimo sindacale” che ci si aspetterebbe da una Società che gestisce una rete stradale da poco meno di 3 mila km con scadenza delle concessioni al 2042. E proprio sulle concessioni si è fatto un gran parlare, una mossa “doverosa” ma impervia: chi ha gestito male e non è più in grado di garantire la sicurezza nazionale si assuma le sue responsabilità, ma è anche vero che non si può fare di tutta l'erba un fascio e forse l'ipotesi più plausibile potrebbe essere quella di revoca della concessione nelle sole tratte autostradali dove emergano negligenze. Come spiega Maurizio Caprino de Il Sole 24 Ore, revocare tutte le concessioni ad ASPI significherebbe scoraggiare anche futuri investitori, e se pensiamo che su oltre 15 mila km di strade e autostrade date in gestione a privati ci sono centinaia di ponti (vecchi o nuovi, le cui condizioni sono piuttosto diverse e spesso al limite dell'accettabile), il crollo del Ponte Morandi oltre che un problema di sicurezza nazionale diventerà anche una partita a scacchi per il Governo.