Ricorso autovelox: manca il verbale ma la multa è valida

Ricorso autovelox: manca il verbale ma la multa è valida Ingiunzione del prefetto impugnata fino in Cassazione: anche se manca il verbale dei vigili

Ingiunzione del prefetto impugnata fino in Cassazione: anche se manca il verbale dei vigili, la sanzione può essere valida

7 Luglio 2016 - 10:07

La Corte di Cassazione sceglie la via del rigore su un ricorso proposto contro un'ordinanza-ingiunzione del prefetto originata da una multa per eccesso di velocità. Con la sentenza n. 12160, depositata il 14 giugno 2016, la VI sezione civile respinge tutti i motivi di ricorso di un automobilista torinese, che dopo aver tentato di farsi annullare l'ingiunzione del prefetto dal Giudice di Pace e dal Tribunale, aveva tentato la carta della Suprema Corte. Il problema in cui è incappato il ricorrente è di aver puntato tutto sull'inerzia della P.A.: in particolare aveva sperato nel fatto che la prefettura non si fosse costituita nel giudizio di primo grado, non producendo quindi il verbale dei vigili su cui era basato il suo provvedimento. Questa omissione, secondo il ricorrente, doveva produrre una nullità generale di tutto il procedimento sanzionatorio. Gli Ermellini propongono un ragionamento alternativo: se la P.A. non deposita la documentazione che sorregge il procedimento sanzionatorio, il giudice ha due vie: o gliela fa produrre, oppure decide con quello che ha. E nel caso dello sfortunato automobilista sanzionato, il giudice, sentendo puzza di bruciato, ha deciso contro di lui.

I 5 MOTIVI DI RICORSO Quando un verbale che contesta violazioni al C.d.S., leggi qui tutte le novità, viene impugnato davanti al prefetto, questi ha due possibilità: o accoglie il ricorso, oppure lo rigetta ed emette un'ordinanza – ingiunzione che sostituisce il verbale, irrogando una sanzione pari almeno al doppio del minimo edittale. Questo provvedimento del prefetto, può poi essere impugnato davanti al giudice di pace. Nel nostro caso, si trattava di una sanzione da autovelox, contestata davanti al prefetto, poi impugnata davanti a giudice di pace, tribunale, e ora Corte di Cassazione. Agli Ermellini sono stati sottoposti cinque motivi di ricorso. Il primo, inerente la mancata produzione del verbale della polizia locale: poiché il prefetto non lo aveva prodotto in primo grado, tutto il procedimento avrebbe dovuto essere considerato nullo. Come può infatti la P.A. emettere un'ingiunzione di pagamento senza giustificarla? Il secondo motivo di ricorso invece, era basato sulla tardività dell'emissione dell'ingiunzione, oltre i 180 giorni. Il terzo motivo denunciava la mancanza della presegnalazione dell'autovelox, della quale la prefettura non aveva mai dimostrato l'esistenza. Quarto e quinto motivo, riguardavano vizi formali, circa la mancanza di sottoscrizione autografa di verbale e ingiunzione del prefetto.

LE RISPOSTE DELLA CORTE Gli Ermellini prendono posizione su ognuno dei cinque motivi di ricorso, con uno svolgimento speculare all'atto del ricorrente, ma due sono le argomentazioni di particolare interesse. La prima riguarda la mancata produzione del verbale della polizia locale da parte del prefetto in primo grado. Il prefetto, nell'opposizione alla sua ordinanza ingiunzione avanti al Giudice di Pace, non si era proprio costituito, e dunque, secondo il ricorrente andava automaticamente annullato tutto il procedimento sanzionatorio, tanto più che nessuno aveva prodotto il verbale della polizia locale che aveva fondato l'emissione dell'ordinanza ingiunzione. Un po' come se in un torneo l'avversario non si presenta e si vince “a tavolino”. Ma il ricorrente non aveva fatto bene i suoi conti. Infatti, secondo gli Ermellini, che si richiamano a Giurisprudenza precedente, in caso di inerzia dell'Amministrazione, “il giudice, chiamato alla ricostruzione dell'intero rapporto sanzionatorio e non soltanto alla valutazione di legittimità del provvedimento irrogativo della sanzione, può sopperirvi…valutando i documenti già acquisiti” (Cass. 4898 del 2015). Quindi, se nel giudizio manca la P.A. perché contumace, non è detto che il Giudice non decida sulla base di quel che ha, o su quel che manca, e non è detto che debba “punire” la P.A. rimasta inerte. La seconda argomentazione riguarda la mancanza di presegnalazione dell'autovelox (terzo motivo), sempre utile alla causa dei sanzionati. Anche qui gli Ermellini ripetono lo stesso ragionamento: mancava la presegnalazione? E dove sono le prove? Insomma è il ricorrente che deve motivare e provare che la sanzione è ingiusta, non è la P.A. che deve dimostrare la propria diligenza nell'irrogare la sanzione.

PIU' DI QUALCHE DUBBIO SUL VERBALE Senza voler commentare il caso concreto, i cui dettagli non ci sono noti, si deve rilevare che questa pronuncia, ancorché non inedita nella Giurisprudenza della Suprema Corte, lascia un po' perplessi, sotto il profilo della equità delle posizioni Stato/cittadino e sotto il profilo della tutela di quest'ultimo dagli abusi della P.A.. Se infatti ricordiamo che l'ordinanza ingiunzione che viene emessa dal prefetto quando il trasgressore impugna presso di lui un verbale, incorpora e sostituisce l'originaria sanzione, diventa cruciale che l'origine di tutto il procedimento sanzionatorio non scompaia, perché gli eventuali vizi originari, formali o di altro tipo, sono tutti lì. E' inutile dire che chi intende opporsi a un procedimento sanzionatorio da parte di enti pubblici dovrebbe conservare tutti i documenti utili a dimostrare l'illegittimità della sanzione. Ma pare troppo mite nei confronti della P.A., che comunque “afferma” per prima un fatto, traducendolo in sanzione, permettergli di non giustificare il fondamento della sua affermazione. Si tratta di una deroga al principio civilistico dell'art. 2607 c.c., che impone a chi afferma un fatto di fornirne prova. Naturalmente in ambito di procedimenti sanzionatori come quello per la violazione delle norme del C.d.S., la P.A. gode di una posizione privilegiata, e non mancano le deroghe in suo favore ai principi del nostro ordinamento. Tuttavia, a prescindere dal caso di specie, questa pronuncia può costituire un alibi per la P.A., che invece dovrebbe, ove chiamata in giudizio sulla legittimità del suo operato, fornire la massima collaborazione.

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