Il business di Uber è nelle mani della Corte di Giustizia europea: potrebbe sciogliere i nodi legali o stroncare il futuro all'app californiana
La guerra senza quartiere scatenata contro Uber in Europa da tribunali, governi e sindacati si arricchisce di un nuovo capitolo, che potrebbe tuttavia contribuire allo scioglimento di alcuni dei nodi legali da anni oggetto di dibattito. L'ultimo atto della saga Uber ha origine in Spagna, per l'esattezza presso il Tribunale di Barcellona, solo qualche settimana dopo la pronuncia della corte londinese che obbliga in prima battuta Uber ad assumere i suoi driver, sentenza cui l'azienda del più discusso servizio di car sharing farà ricorso. Stavolta però sono i tassisti spagnoli a tornare alla carica contro Uber e la questione arriva fino alla Corte di Giustizia europea.
L'AZIONE LEGALE DEI TASSISTI SPAGNOLI L'ultimo atto della saga Uber ha origine in Spagna, per l'esattezza presso il Tribunale di Barcellona. Dopo la sentenza della corte inglese che obbliga Uber ad assumere i dirver con stipendio e ferie pagate, leggi qui i dettagli, in Spagna un'associazione di tassisti ha intrapreso un'azione giudiziale nei confronti dell'azienda californiana, sostenendo che il servizio di trasporto offerto da Uber non sia in regola. La legislazione spagnola, infatti, richiede ai prestatori del servizio di trasporto su taxi l'ottenimento di una licenza. L'azione promossa rende necessario rispondere ad una domanda: il servizio offerto da Uber ai propri utenti può essere considerato un servizio di trasporto su taxi? O è piuttosto un “servizio della società dell'informazione”, ossia “un servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi”(articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 98/34/CE)?
IL RINVIO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA Considerato che i servizi della società dell'informazione sono disciplinati dalla normativa europea, il Tribunale di Barcellona ha sollevato una questione pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia dell'UE, chiedendo ai giudici di Lussemburgo di chiarire se il servizio offerto da Uber rientri tra i servizi della società dell'informazione. La decisione della Corte, attesa nella primavera del 2017, avrà un impatto significativo nei 28 Stati membri, in quanto l'art. 4 della Direttiva e-commerce prevede che la prestazione dei”servizi della società dell'informazione”non sia soggetta ad autorizzazione preventiva o ad altri requisiti di effetto equivalente. Pertanto, ove il servizio offerto da Uber sia qualificato come un servizio della società dell'informazione o come un servizio elettronico di intermediazione, Uber sarà giuridicamente libera in futuro dagli oneri autorizzativi e regolamentari tipicamente connessi al servizio taxi.
LE ARGOMENTAZIONI DELLE PARTI Lo scorso 29 novembre si è tenuta a Lussemburgo l'udienza, e Uber ha impostato una strategia difensiva basata sull'analogia tra i propri servizi e quelli offerti dalle agenzie di viaggio online. Il ragionamento dell'azienda di San Francisco si fonda sull'idea che così come Expedia o Booking non soggiacciono alla regolamentazione settoriale rivolta ai vettori aerei e agli hotel, allo stesso modo Uber non deve soggiacere alle regole destinate ai tassisti, in quanto costituisce un mero intermediario online che mira ad agevolare l'incontro tra domanda e offerta. Gli avvocati dei tassisti barcellonesi, supportati nella loro azione dai governi di Spagna, Francia e Irlanda, sostengono che la tesi secondo cui Uber sarebbe un mero intermediario non regge, in quanto Uber non si limita a mettere in contatto taxi e passeggeri, ma interviene attivamente nella prestazione del servizio taxi, fissando le tariffe da praticare al pubblico e offrendo agli autisti dei programmi di formazione e gli smartphone necessari a svolgere l'attività. A queste argomentazioni Uber ha replicato affermando di limitarsi a verificare che gli autisti siano in possesso di un auto, della licenza e dell'assicurazione (leggi qui come funziona il servizio Uber in Italia e quanto si guadagna realmente in un giorno), ossia quei requisiti necessari agarantire la sicurezza degli utenti. Uber inoltre non verifica la frequenza con cui gli autisti utilizzano l'app, e li lascia liberi di utilizzare altre app concorrenti. Appare interessante osservare come Uber sia stato supportato dinanzi alla Corte europea, oltre che dagli interventi dei governi di Olanda ed Estonia, anche dalla Commissione europea, che da sempre rappresenta il primo fan dell'azienda americana. La Commissione vede infatti in Uber una chance di scardinare un settore, quello del trasporto su taxi, che rappresenta l'ultima riserva indiana dei servizi pubblici sottratti di fatto all'applicazione delle regole di concorrenza. La Commissione si mostra tuttavia prudente in questo caso, sostenendo che ogni giudice nazionale dovrebbe essere lasciato libero di valutare se Uber offra un servizio di trasporto ai sensi del diritto nazionale di quel paese. Questa posizione appare forse eccessivamente prudente, se si considera che la definizione di “servizi della società dell'informazione” offerta dalla direttiva sull'e-commerce è chiara e una sua applicazione incoerente rispetto ai servizi offerti da Uber nei vari paesi pregiudicherebbe la certezza del diritto.
REGOLAMENTARE LA SHARING ECONOMY Qualunque sia l'esito del giudizio, è ormai palese il tentativo di molti paesi occidentali di regolamentare quei servizi di intermediazione online che negli ultimi anni hanno dato luogo al paradosso della sharing economy: da Uber a Airbnb, passando per i social network, portali virtuali che non producono nulla ma che in poco tempo hanno raggiunto quotazioni spaventosamente superiori rispetto a quelle che le aziende leader del vecchio sistema industriale hanno maturato in decenni (basti pensare all'industria alberghiera o a quella automobilistica). È un bene regolare il fenomeno, con il rischio di frenarne la crescita? Non esiste una ricetta valida per tutti i mercati. Di certo nel settore dei taxi occorrerebbe prevedere per le aree urbane un livello di regolamentazione dell'offerta meno penetrante rispetto alle aree più periferiche e isolate in cui il libero mercato non può funzionare. Mentre nelle seconde, i taxi dovrebbero continuare a rappresentare una riserva indiana da proteggere, con quote e tariffe, nelle città sarebbe più opportuno incentivare la libera concorrenza, per favorire un miglioramento dei servizi e una riduzione dei prezzi. In quest'ottica, servizi innovativi come Uber rappresentano di certo una risorsa.
Articolo di commento dell'Avvocato Marco Lo Bue esperto in Antitrust/EU Law/Regulated Markets – http://trustinip.com